La sgrammatura (o riduflazione)
Tale fenomeno, detto anche in inglese “shrinkflation”, parola macedonia che deriva dai termini “to shrink”, “rimpicciolire”, e “inflation”, “inflazione”, è ciò che sta accadendo alla maggior parte dei prodotti finali-molto spesso quelli alimentari -all’interno delle grandi catene di distribuzione. A parità di prezzo, le loro dimensioni si riducono, diminuendo la quantità di peso netto dell’alimento all’interno della confezione. Questo aiuta a combattere l’inflazione mantenendo sì il costo del bene invariato, ma, allo stesso tempo, vendendo al consumatore un prodotto ridotto, spesso a sua insaputa. Una vera e propria strategia di marketing, che giocando sulla psicologia, permette alle aziende di mantenere i loro profitti invariati e di contrastare la curva inflazionistica.
La “sgrammatura” è un fenomeno contemporaneo?
A dir la verità, no. Le sue origini si fanno risalire addirittura al XIII secolo. Nel 1266, infatti, le fonti ci restituiscono la testimonianza di una tassa, “l’accisa sui pani e sulle birre”, in cui veniva stabilito che l’autorità potesse punire i fornai che vendessero a un determinato prezzo calmierato un numero di pagnotte al di sotto di quello stabilito dalla legge. Nacque così il fenomeno della “baker’s dozen”, o “dozzina del fornaio”, per cui anziché vendere 12 pagnotte, egli ne metteva 13, ma diminuendone le dimensioni, così da utilizzare una quantità inferiore di acqua, farina e lievito.
Un rischioso gioco psicologico
Nella dottrina economica, la teoria dei “prezzi quantistici”, cioè delle soglie di prezzo massime per la “tolleranza” del consumatore affinché egli acquisti un prodotto, la sgrammatura permette di non superare determinati limiti. Ma anch’essa deve essere applicata in una misura tale da essere poco percettibile, quasi come fosse una specie di gioco di prestigio: nel 2016, infatti, nel Regno Unito, un noto marchio produttore di cioccolato dalla forma triangolare ha aumentato eccessivamente lo spazio tra un triangolo e l’altro delle barrette, portando i clienti ad avanzare critiche verso la compagnia produttrice, la quale ha subito un notevole danno d’immagine. I consumatori, dunque, sono più perspicaci di quanto le grandi aziende immaginino.
I risultati della “riduflazione”
Per far fronte a queste diminuzioni, il consumatore compra una quantità di prodotti doppia rispetto a prima. Inoltre, le compagnie stanno adottando una tattica ancora più subdola, che è quella della “skimpflation”, per cui viene diminuita la percentuale di un certo ingrediente all’interno di un prodotto, come quella dell’avocado nelle confezioni di salsa guacamole. Ma le aziende produttrici hanno davvero bisogno di ricorrere a questo? Davvero mantenere la quantità di prodotti invariata li porterebbe a gravi conseguenze finanziarie? In realtà, i loro profitti stanno crescendo esponenzialmente dal dopo pandemia, tanto da far parlare di “excuseflation”, ossia utilizzare il fenomeno inflazionistico come una scusa per guadagnare maggiormente.